Sembra giusto ricreare intorno alla figura di Massimo Sella
l’atmosfera e i volti della famiglia entro cui nacque.
La riproduzione del quadro che il pittore bulgaro Boris Georgiev dipinse intorno agli anni ’24-’25 ben la rappresenta: rende l’immagine di una famiglia unita quale essa veramente fu, attraverso la coppia dei suoi genitori Carlo e Clara, poi attraverso quella di Massimo stesso con la amata moglie Edvige Magnani.
Massimo proviene da una famiglia di lunga storia, iniziata quando alcuni pastori della Valle di Mosso, retrostante la città di Biella, cominciarono a filare la lana delle pecore che allevavano, a lavorarla e a venderla alle prime industrie di quei lontani secoli del ‘600, ‘700, per quanto mi sia dato sapere. È forse in parte storia romanzata raccolta da racconti famigliari. Non cambia però la sostanza di un lungo percorso evolutivo attraverso cui, per mezzo del lavoro e dell’applicazione, alcuni membri iniziarono ad accedere anche a professioni e funzioni pubbliche di prestigio come sacerdoti o avvocati, e questo io ricordo per dare l’idea, o cercare di dare l’idea, della qualità evolutiva di questo gruppo di affini, di questa famiglia Sella, il cui nome stesso deriva dalle colline della Sella di Mosso.
Aspetto fondante nella vita di Massimo fu il rapporto intenso con due persone da lui riconosciute centrali per la sua esperienza e formazione, a cui restò strettamente legato per tutta la vita. Due figure familiari che ebbero particolare importanza e influenzarono la sua formazione, maestri da emulare, interiorizzati.
Prima di tutto la madre e questo al di là dei puri e meri affetti intimi: fu Clara, pianista lei stessa, che lo iniziò allo studio del pianoforte in tenerissima età. Raggiunto un buon livello divenne egli stesso un appassionato pianista e fu il pianoforte lo strumento che suonò con professionalità concertistica lungo tutto l’arco della vita.
L’altro fatto formativo da ricordare fu l’avere riconosciuto un modello ispiratore in Alfonso Sella, cugino di secondo grado figlio di Quintino, uomo colto, professore di fisica all’Università La Sapienza di Roma e musicista, a cui Massimo ebbe modo di essere vicino e conoscere intimamente quando diciassettenne l’accompagnò per una settimana di ricerca scientifica volta a segnare i confini della Sienite, nella valle del Cervo.
Già da adolescente, ne seppe riconoscere la statura morale e scientifica, disse a se stesso - e così scrisse nel capitolo a lui dedicato nella Bürsch - che lo avrebbe seguito nello studio e nel sapere -, e mantenne la parola. In questo cugino egli riconobbe e profondamente ammirò la qualità morale e il coinvolgimento scientifico.
Lo seguì a Roma laureandosi in Scienze Naturali alla Sapienza, dove Alfonso insegnava. Infine diede al suo primogenito lo stesso nome.
Il significato centrale del riportare questi fatti sta a sottolineare la capacità in Massimo, seppur in giovane età, di riconoscere una persona e perseguirne lo spirito e l’attività, introiettandone in maniera profonda i tratti del carattere.
Sembra a me che questa capacità prematura del riconoscere in altri una essenza ed una motivazione, percepite come di grande importanza, e la fedeltà ad esse, esprima in Massimo la capacità innata del riconoscimento di valore in altri da seguire come esempio.
La consapevolezza del percorso della propria storia non può non generare attaccamento e rispetto, oltre a profondo interesse per il lungo cammino della propria provenienza. Mi sovviene un ricordo lontano di alcune parole, dette da Lodovico, ideatore della Fondazione Sella, trovandoci a discorrere di questi eventi: facendomi notare come la famiglia fosse "durata", nel senso che non aveva avuto tracolli distruttivi della propria industria o attività, come spesso si vedeva accadere intorno a noi sulla fine di importanti e molto ricche industrie, improvvisamente crollate. Era percepibile un tocco di orgoglio in queste parole, che io stessa condivisi; ma è pur vero soprattutto per la motivazione che Lodovico ne dava: disse che i nostri antenati sopravvissero come attività o industria famigliare perché avevano saputo pensare e di conseguenza prevedere, modificare e adattare le loro attività in accordo al tempo corrente.
Mai avevo ripensato questi pensieri, che mi sovvengono adesso nel tentativo di percorrere gli eventi precedenti la nascita di Massimo Sella, la cui vita, ma soprattutto il significato della0 persona, sarei felice di rendere conoscibile.
In tutte le sue attività, prima di tutto come scienziato ma anche come pianista quasi professionale, di fotografo, di scrittore, egli raggiunse un livello di alta qualità. Fu però la qualità portante della sua mente e del suo spirito non facile da descrivere che spero di poter comunicare: l’integrazione, questa mai completamente scissa nelle sue parti. Con questo non intendo solo la compresenza in lui dello scienziato, dell’artista, del religioso, ma la qualità dell’integrazione di queste.
Pur essendo centrale ad esempio l’attività scientifica, questa non impediva alla sua mente di cogliere altri aspetti estetici ed umani per cui in altri momenti se ne sarebbe poi fatto carico.
Massimo Sella era certamente un uomo di qualità come persona e come professionista. Mi sono interrogata su cosa mi spingesse a onorarne la memoria attraverso questo mezzo di comunicazione.
Ho ripensato a un libro che avevo letto tempo fa, "L'ultimo dei Giusti" di André Schwarz-Bart che molto mi aveva colpito, e particolarmente al concetto di Giusto che vi era espresso. Era questo il riconoscimento e la definizione di una personalità capace di riconoscere e rimanere fedele alle qualità del bello e del buono in sé stesso e nella valutazione degli altri.
Volendo sintetizzare con un termine che esprima la qualità della persona mi sovviene un termine ritrovato in alcune letture, appunto la parola giusto, così come viene inteso nello spirito ebraico del Vecchio Testamento.
I primi passi di industrializzazione nel campo tessile avvennero dapprima nel luogo di origine, poi all’inizio dell’Ottocento, si spostarono a Biella.
Nel 1817 Pietro Sella aveva introdotto nel lanificio di famiglia a Valle Mosso le prime macchine per filatura di tipo meccanico, importate dall’Inghilterra attraverso il Belgio.
Nel 1835 Maurizio e la moglie Rosa scesero a Biella, dove fu acquistato un antico filatoio di seta sulla riva del Cervo e dove venne impiantato il primo lanificio meccanico della città.
Fra i molti figli, vi fu Quintino, ministro delle Finanze durante il regno di Vittorio Emanuele II e fondatore del CAI e di altri enti pubblici.
Quintino fu il padre di Corradino, parlamentare e Sindaco di Biella, di Eva, fondatrice di una Scuola Superiore Femminile, e di Alfonso, il già citato amico e ispiratore di Massimo.
San Gerolamo con i terreni circostanti fu acquistato da Giuseppe Venanzio, mentre il lanificio era guidato allora da Quintino e da Giuseppe Venanzio, che ne fece la propria dimora e dove nacquero, dal suo matrimonio con Clementina Mosca della Valle Cervo, i suoi sette figli sopravvissuti dei tredici. Fra questi, Carlo (Carlin), padre di Massimo, che prese in mano la conduzione del lanificio dopo la morte del padre, mentre Vittorio divenne il noto alpinista e fotografo di montagna, apprendendo dal padre i segreti della fotografia e dallo zio la passione per la montagna.
Erminio con il cugino Mosca fondò in Sardegna l’azienda vinicola Sella e Mosca.
Determinante per la creazione di una banca di famiglia fu l’esempio di Giuseppe Venanzio, che era stato presidente della Banca Biellese. Fu infatti questo l’obiettivo perseguito dal suo terzogenito, Gaudenzio, il quale costituì nel 1886 l’istituto di credito che si trova alle origini dell’attuale Gruppo Banca Sella. Egli guidò l’istituto per quasi mezzo secolo e sotto la sua direzione la banca promosse anche la costituzione di due grandi società per azioni: la Filatura di Tollegno e la Società Idroelettrica Italiana. Alla morte di Gaudenzio, negli anni Trenta, con Ernesto prima e Giorgio poi, fu iniziata quella politica di sviluppo ed espansione che perdura tuttora.