Avevo ascoltato un dialogo fra due esperti che si interrogavano a vicenda su un fotografo: "Che tipo di fotografo è questo?".
La frase mi ha colpita e mi sono subito chiesta che tipo di fotografo è Massimo? Finora ci siamo occupati della sua fotografia piuttosto come un aspetto complementare dell’intero della sua personalità; adesso compare la necessità di capire "che tipo di fotografo" era.
Non cercava la bella immagine in sé, da proporre e di cui giovarsi, che rendesse un’alta capacità nell’arte della fotografia.
Direi che quando era colpito dalla bellezza di uno spazio e dalla presenza di oggetti, il suo desiderio di coglierli, ricordarli e renderli conoscibili, lo spingeva nella direzione del narrare attraverso la fotografia.
Così scrisse lui stesso a proposito del suo rapporto con Rovigno di cui “si innamorò” (parole sue): mancando di una capacità pittorica per comunicare rappresentando aveva trovato consolazione nella possibilità della fotografia.
E si può ben dire che essendosi innamorato di Rovigno e volendone comunicare la bellezza, sempre più trasformò la sua capacità fotografica per le immagini scientifiche in possibilità di rendere la bellezza del mondo.
Iniziò la sua trasformazione da fotografo scientifico a fotografo narratore.
Non solo di fronte alla bellezza di Rovigno, ma dovendo confrontarsi con il profondo dolore per la morte della moglie Edvige, si può dire che unì i due aspetti e si avventurò attraverso le immagini entro la collina di Rovigno come per raggiungere il fondo del suo dolore, avvicinandosi alla morte lui stesso, per poi risalire e tornare in alto alla luce del sole.
Non sono certo queste parole che aiutano a comprendere i fattori emotivi, ma è proprio la visione completa e consequenziale della serie di circa 180 fotografie e il loro percorso del lutto profondo e la risalita verso il mondo dei vivi.
L’occhio del fotografo scende in basso, pur non dimenticando mai un qualcosa di chiaro, la luce del mondo. Sarà la visione concentrata della sequenza delle immagini che indicherà il viaggio del lutto e il ritorno verso il mondo vivente.
Quella che Massimo indicherà come la sua strada futura è una strada sterrata e sassosa, ma fiancheggiata da una siepe di foglie vive, quasi a raccontare il proseguire della sua vita dopo la perdita e il sollievo dato della presenza di figli e nipoti di cui fu nonno vivo e attento, che seppe risvegliare in sé interesse e amore per la vita (vedi in particolare la raccolta di "Lettere a Silvia", scritto per la nipote).
A tutti i famigliari il suo ritorno alla bellezza e alla luce del modo fu da esempio a tenere le mente viva e attiva.