Massimo proviene da una famiglia patriarcale di lunga storia, iniziata quando alcuni pastori della Valle di Mosso, retrostante la città di Biella, cominciarono a filare la lana delle pecore che allevavano, a lavorarla e a venderla alle prime industrie di quei lontani secoli del ‘600 e ‘700. È forse in parte storia romanzata raccolta da racconti famigliari, non cambia però la sostanza di un lungo percorso evolutivo attraverso il quale, per mezzo del lavoro e dell’applicazione, alcuni membri iniziarono ad accedere anche a professioni e funzioni pubbliche di rilievo, come sacerdoti o avvocati, e questo dà l’idea della qualità evolutiva di questo gruppo di affini, di questa famiglia Sella, il cui nome stesso deriva dalle colline della Sella di Mosso.
Aspetto fondante nella vita di Massimo fu il rapporto intenso con due persone da lui riconosciute centrali per la sua esperienza e formazione, maestri da emulare, interiorizzati, a cui restò strettamente legato per tutta la vita.
Prima di tutto la madre Clara, e questo al di là dei puri e meri affetti intimi: fu lei stessa pianista che lo iniziò allo studio del pianoforte in tenerissima età. Massimo divenne un appassionato pianista e il pianoforte fu lo strumento che suonò con professionalità concertistica lungo tutto l’arco della vita.
L’altro fatto formativo da ricordare fu l’avere riconosciuto in Alfonso Sella un maestro. Egli era suo cugino di secondo grado, figlio di Quintino, uomo colto, professore di fisica all’Università La Sapienza di Roma e musicista. Già da adolescente, Massimo ne seppe riconoscere la statura e ne ammirò profondamente la qualità morale e il coinvolgimento scientifico. Infine diede al suo primogenito lo stesso nome.
Il significato centrale del riportare questi fatti sta nel sottolineare la capacità in Massimo, seppur in giovane età, di riconoscere il valore di una persona e perseguirne lo spirito e l’attività, introiettandone in maniera profonda i tratti del carattere da seguire con fedeltà come esempio.
In tutte le sue attività, prima di tutto come scienziato ma anche come pianista quasi professionale, fotografo e scrittore, egli raggiunse un livello di alta qualità. Fu però l’integrazione la caratteristica portante della sua mente, mai completamente scissa nelle sue parti. Con questo non intendo solo la compresenza in lui dello scienziato, dell’artista, del religioso, ma la qualità dell’integrazione di queste.
Pur essendo centrale ad esempio l’attività scientifica, questa non impediva alla sua mente di cogliere aspetti estetici ed umani di cui in altri momenti si sarebbe poi fatto carico.
"Mi sono interrogata su cosa mi spingesse a onorare la memoria di Massimo attraverso questo mezzo di comunicazione.
Ho ripensato a un libro che avevo letto tempo fa: "L'ultimo dei Giusti" di André Schwarz-Bart, che molto mi aveva colpito, di questo particolarmente ricordo il concetto di Giusto.
Era questo il riconoscimento e la definizione di una personalità capace di riconoscere e rimanere fedele alle qualità del bello e del buono in sé stesso e nella valutazione degli altri."